PERCORSO FORMATIVO PER LA PROMOZIONE

 

DI FIGURE DI COORDINAMENTO PER I

 

DOCENTI SPECIALIZZATI SUL SOSTEGNO

 

PRESENTAZIONE DI UN CASO

 

TREPICCIONE MARIANNA

 

 

 

 

  1. ha 5 anni e frequenta regolarmente per il terzo anno la scuola dell’infanzia.

La sua famiglia è composta da cinque persone: padre, madre, due sorelle e il bambino. Il padre lavora, mentre la madre segue costantemente P. .

Il bambino, da neonato ha contratto una forma virale che gli ha portato la Sindrome Nefrosica. Crescendo, si è mostrato piuttosto irrequieto e ha presto evidenziato comportamenti problematici. Fin dal primo anno della Scuola dell’Infanzia ha avuto sostegno con rapporto 1/1. La diagnosi iniziale è di iperattività, P. è difficile da controllare e da orientare verso attività organizzate. Passa rapidamente da un gioco all’altro senza terminarne alcuno e senza interessarsi ad alcun oggetto per lungo tempo. Si parla molto spesso di bambini distratti, iperattivi o agitati ma bisogna capire bene quando si parla di semplice vivacità o quando si è veramente di fronte a un ADHD.

I tre principali criteri per definire un DDAI o ADHD sono: problemi di attenzione, iperattività e impulsività. Prima di descrivere questi tre sintomi, bisogna prestare molta attenzione ai criteri dei manuali diagnostici, i quali affermano che per parlare di un disturbo è necessario riscontrare la presenza dei sintomi prima dei sette anni di età. Se insorgono dopo l’ingresso nella scuola elementare è pensabile che sia soltanto una manifestazione di un disagio, forse temporaneo, dovuto ad una difficoltà di inserimento nell’ambiente sociale. I sintomi devono provocare una compromissione clinicamente significativa nel funzionamento scolastico e sociale. Quindi, il bambino, proprio per la presenza di disattenzione, iperattività e impulsività non è in grado di raggiungere un buon adattamento sociale e non è in grado di manifestare un rendimento scolastico adeguato. I sintomi devono manifestarsi in almeno due contesti; questo sempre per ribadure che siano una caratteristica specifica del bambino e non una sua risposta di disagio ad un particolare ambiente nel quale si trova inserito.

Nello specifico, i diversi sintomi si manifestano nel seguente modo:

 

  • Disattenzione, i bambini non riescono a:
  • Prestare cura ai dettagli;
  • Mantenere l’attenzione per un periodo prolungato;
  • Evitare distrazioni in compiti poco motivanti;
  • Organizzare le proprie attività;
  • Affrontare compiti lunghi.

 

  • Iperattività:
  • Si muovono eccessivamente, anche in contesti non adeguati;
  • Sembrano continuamente mossi da un motorino;
  • Passano continuamente da un’attività all’altra;

 

  • Impulsività:
  • Sparano le risposte a caso;
  • Interrompono o sono invadenti nei confronti degli altri;
  • Non sanno attendere il proprio turno.

 

Questi sintomi non sono rati nei bambini, anzi sono comportamenti che tutti, o molti, manifestano. Il problema dei bambini DDAI è che manifestano un numero elevato di questi sintomi, in modo frequente e per un periodo persistente. Quindi, per fare diagnosi il clinico deve fare un colloquio approfondito per accertare la frequenza, la persistenza e l’età di insorgenza di questi sintomi e soprattutto quanto questi provochino una compromissione nello svolgimento delle attività del bambino.

Oltre ai sintomi principali, i bambini DDAI presentano, nella quasi totalità, anche altre caratteristiche secondarie; queste a volte non raggiungono una gravità tale da meritare una diagnosi associata ma comunque creano problemi al bambino e alle persone vicine a lui. Moltissimi di questi bambini presentano anche difficoltà scolastiche sia di rendimento che di comportamento. Difficoltà nelle relazioni sociali, molto spesso causate dalla loro impulsività e scarso autocontrollo e mancato rispetto delle regole; se provocati possono reagire con azioni di aggressività fisica. La loro scarsa autoregolazione si manifesta anche in ambito emotivo, per cui passano spesso dall’euforia alla rabbia o alla tristezza. Sono bambini che sembrano svogliati, con scarsa motivazione, soprattutto per i compiti scolastici. La poca omogeneità nelle prestazioni è una delle caratteristiche distintive del loro problema.

I bambini DDAI in Italia sono circa il 3%. Tra questi, circa la metà presenta sia disattenzione che iperattività, mentra l’altra metà presenta un disturbo clinico caratterizzato solo da disattenzione o solo da iperattività- impulsività.

Le prime segnalazioni generalmente arrivano tra gli 8 e i 10 anni, quindi, per poter confermare la diagnosi, bisogna ripercorrere la storia del bambino e capire se i sintomi erano presenti prima dell’ingresso nella scuola elementare.

Le cause sono innate, cioè il bambino nasce già con una predisposizione a sviluppare il disturbo. Poi, con la crescita e in base alle caratteristiche dell’ambiente, la gravità dei sintomi e la loro durata si possono modificare. Questo concetto è molto importante per dividere le cause dai fattori di aggravamento o miglioramento. Pertanto, anche se esistono delle cause innate, non è detto che il destino sia segnato, anzi ci sono amplissimi margini di modificazione.

Le cause innate si possono  far risalire a fattori genetici o complicanze pre o perinatali. Finora gli studi di genetica sono riusciti ad individuare alcuni geni che potrebbero essere coinvolti ma complessivamente questi pochi geni sono in grado di spiegare solo il 5% delle cause. Altri fattori di rischio pre o peri-natali riguardano il consumo di alcol o fumo da parte della madre durante la gravidanza. Questo, ovviamente, non vuol dire che tutte le madri che fumano o bevono avranno un figlio DDAI  ma hanno maggiori probabilità rispetto agli altri.

Un altro fattore di rischio è il basso peso alla nascita, ma non tutti i bambini che nascono con questa caratteristica diventano DDAI.

Un’ulteriore prova del fatto che esista una predisposizione innata sono i numerosi studi che hanno indagato la morfologia ed il funzionamento del cervello di questi bambini. Non si sta parlando affatto di patologie ma di differenze rispetto ad altri bambini che non presentano il disturbo.

Altri fattori da valutare, in presenza di bambini DDAI, sono i fattori di aggravamento o di miglioramento. Questi fattori ci consentono di sapere quale potrebbe essere il futuro di questi bambini, cioè, oltre alla presenza o meno di questo disturbo, possiamo orientare il nostro lavoro cercando di prevedere come potrebbero essere le fasi successive di crescita. Ad esempio, la presenza di altri familiari con lo stesso disturbo significa che è molto probabile che ci sia una trasmissione delle cause innate per cui il problema è più radicato e sarà più difficile ottenere dei miglioramenti. Anche perché il bambino ha in casa un adulto che ha tratti di disattenzionee iperattività per cui diventa anche un modello da osservare ed imitare.

La presenza di altri disturbi, ovviamente, aggrava il quadro; basti pensare alla contemporanea presenza di un disturbo di apprendimento o della condotta, diciamo che la situazione è più critica.

Il livello cognitivo è un buon predittore perché bambini più dotati intellettivamente sono maggiurmente capaci di sviluppare delle strategie di compensazione al loro problema. La presenza di relazioni familiari disorganizzate che non consente al bambino di avere delle regole, naturalmente ci pone maggiori preoccupazioni e ci fa temere maggiormente per il futuro. Fondamentale è l’accettazione del problema da parte della scuola e della famiglia. Infatti, se il bambino con DDAI viene continuamente punito per i suoi comportamenti piuttosto che essere aiutato a sviluppare strategie per affrontare le sue difficoltà, ovviamente manifesterà sempre più problemi di varia natura. I fattori di miglioramento, invece, sono: buon livello cognitivo, assenza di altri disturbi, comprensione del problema da parte di genitori ed insegnanti, accettazione delle caratteristiche del bambino. Oltre a ciò, possiamo aggiungere qualcosa che fa già parte di un intervento di recupero: importanza delle regole e delle regolarità, che molto spesso da questi bambini sono ricercate. Le regole devono essere: poche, comprese e condivise. Un atteggiamento riflessivo, quindi, non impulsivo di chi circonda i bambini. L’insegnamento del saper aspettare è particolarmente importante per questi bambini. Altro punto importante è la valorizzazione dell’accuratezza.

In molti casi,come abbiamo detto, oltre ai sintomi DDAI si riscontrano anche altre tipologie di sintomi.

Anche nel caso di P., presto sono insorti altri sintomi. Crescendo, infatti, ha cominciato a mostrare anche un disturbo oppositivo provocatorio e comportamenti autolesionisti. Ha maggiori difficoltà ad interagire con gli altri, in particolar modo con gli adulti. Si oppone verbalmente e con altre azioni alle richieste che gli vengono fatte. Si innervosisce facilmente, è permaloso e si arrabbia di frequente, spesso per arrivare a litigare.

Di fronte al rifiuto e al non raccoglimento delle sue richieste si lancia con la fronte a terra. Una volta si è lanciato in una vetrata frantumandola ed uscendone, fortunatamente, illeso.

Il bambino ha una fisicità abbastanza importante e mostra una forza di gran lunga superiore a quella di un bambino della sua età. Dopo attenta osservazione e dopo aver verificato le sue capacità nelle diverse aree, le insegnanti pervengono alla conclusione che l’alunno ha bisogno di interventi individualizzati verteranno al controllo e al contenimento di atteggiamenti autolesionisti ed aggressivi. A causa di questi l’alunno ha bisogno di essere costantemente seguito, infatti viene affiancato anche da un OSA perché va controllato a vista.

Il PEI viene redatto in collaborazione con l’equipe psicopedagogica, durante un incontro presso l’ASL di riferimento. In casi difficili e delicati come questo è particolarmente importante l’intervento del neuropsichiatra infantile, soprattutto nella definizione delle metodologie.

 

Il lavoro delle insegnanti, in concomitanza con quello del centro riabilitativo e della famiglia, mira ad aumentare la capacità di concentrazione. Infatti, l’alunno si entusiasma nello svolgere le attività, però, nello stesso tempo, si distrae facilmente e non riesce a portare a termine il lavoro se non con l’aiuto dell’insegnante.

Nei giorni in cui è sereno lavora per qualche minuto e mantiene di più l’attenzione. I suoi sbalzi di umore sono, purtroppo, dovuti anche all’uso di medicinali abbastanza pesanti per un bambino della sua età. A causa della sindrome nefrosica, P. prende massicce dosi di cortisone e questo lo rende agitato. Non sempre può assumere medicinali che possano calmarlo perché i suoi reni sono già fragili, sia per la patologia che per i medicinali. Si calma solo quando utilizza le tempere colorate, per questo motivo spesso si preferisce educarlo alla concentrazione proprio attraverso la pittura. P. ha una buona motricità fine e una discreta coordinazione oculo manuale. Ovviamente non rispetta i margini quando colora a causa del suo nervosismo e della sua instabilità.

I suoi atteggiamenti autolesionisti ed aggressivi si manifestano anche a casa. Per questo motivo i genitori si sono rivolti a centri che possano tenerlo per gran parte della giornata, visto che anche la realtà familiare sta diventando insostenibile. Il bambino non può essere lasciato solo neanche per un minuto perché scappa anche di casa se non controllato.

Si pensa che il bambino potrebbe essere aiutato in maniera più adeguata in un centro specializzato, infatti a scuola si mostra nervoso per il costante controllo e per l’alternarsi delle diverse figure preposte al suo percorso formativo. Inoltre, come è tipico del suo disturbo, l’apprendimento del bambino è fortemente condizionato dai suoi comportamenti problematici non da un quoziente intellettivo basso.